
Il Deep Sea Mining, o estrazione mineraria in acque profonde, è la pratica di raccogliere risorse minerarie preziose direttamente dai fondali oceanici, spesso a migliaia di metri di profondità. È una frontiera tecnologica che attira l’interesse di governi e multinazionali, ma anche forti critiche da parte di scienziati e ambientalisti.
Le risorse che si intendono estrarre dai fondali oceanici sono destinate in gran parte all’industria tecnologica e a quella legata alla transizione ecologica. Il che, se vogliamo, è ironico.
Tra gli obiettivi principali figurano infatti i noduli polimetallici, ricchi di elementi come nichel, cobalto, rame e manganese, indispensabili per la produzione di batterie, veicoli elettrici e pannelli solari. Un’altra risorsa chiave sono i solfuri idrotermali, che si formano attorno alle sorgenti calde sottomarine e racchiudono metalli preziosi come oro, argento, rame e zinco. Infine, le croste ferromanganesifere, che si trovano sui rilievi sottomarini, rappresentano un’importante fonte di terre rare, fondamentali per la realizzazione di microchip, magneti e tecnologie avanzate come i laser.
Dove avviene l’esplorazione
Le aree considerate più promettenti per l’estrazione mineraria sottomarina si trovano principalmente in acque internazionali, sotto la giurisdizione della International Seabed Authority (ISA). Tra le più importanti spiccano la zona Clarion-Clipperton, situata nell’Oceano Pacifico, i margini della dorsale medio-atlantica e i fondali circostanti le isole Cook e Tonga. Si tratta di ambienti estremamente delicati, spesso incontaminati, che ospitano ecosistemi abissali ancora inesplorati e potenzialmente vulnerabili alle attività umane.

Come funziona tecnicamente
Il processo è complesso e coinvolge:
- Veicoli telecomandati (ROV) che “aspirano” i noduli o frantumano il substrato;
- Tubi verticali che risucchiano il materiale fino a navi di superficie;
- Selezione e trasporto a terra per l’estrazione dei metalli.
Il tutto con la produzione di sedimenti in sospensione, rumore, vibrazioni e rilascio di sostanze potenzialmente tossiche.
Rischi ambientali
I potenziali pericoli legati al deep sea mining sono numerosi e preoccupanti. In primo luogo, le operazioni di estrazione potrebbero causare la distruzione di habitat abissali, spesso unici e ancora poco conosciuti dalla scienza. Questo comporterebbe una perdita irreversibile di biodiversità.
Tra le vittime più dirette ci sarebbe la fauna bentonica, composta da organismi delicati come i coralli d’acqua fredda, le spugne e gli echinodermi, che rischierebbero una moria su vasta scala. Inoltre, l’attività mineraria solleverebbe enormi quantità di sedimenti, i quali, una volta in sospensione, potrebbero danneggiare larve e organismi filtratori, compromettendo l’equilibrio dell’intero ecosistema.
Non meno importante è l’impatto acustico: il rumore prodotto dai macchinari potrebbe interferire con la comunicazione e l’orientamento di cetacei e pesci che vivono nelle profondità marine.
Alcuni ecosistemi potrebbero impiegare secoli o millenni a rigenerarsi.

Normative internazionali e pressioni geopolitiche
La regolamentazione del deep sea mining è attualmente gestita dall’International Seabed Authority (ISA), l’organismo delle Nazioni Unite incaricato di rilasciare le licenze per l’esplorazione dei fondali marini. Tuttavia, il dibattito internazionale è tutt’altro che unanime.
Alcuni paesi, come la Norvegia, la Cina e le Isole Cook, stanno spingendo con decisione per avviare lo sfruttamento industriale su larga scala, sostenendo che le risorse minerarie oceaniche rappresentano una risposta strategica alla crescente domanda globale di metalli rari. E qui infatti il discorso diventa se l’aumento delle problematiche, chiamiamole ecologiche, possa controbilanciare il fatto di poter aver accesso a basso costo di tante risorse che sulla terraferma cominciano ad avere costi insostenibili. Una domanda a cui non penso ci possa essere una risposta univoca.

Per questo, al contrario, altre nazioni – tra cui Germania, Francia e Canada – si sono espresse a favore di una moratoria globale. Questi stati chiedono di sospendere qualsiasi attività estrattiva fino a quando non saranno chiariti gli effetti ambientali e non verranno definite regole precise a tutela degli ecosistemi marini. Le materie prime coinvolte sono strategiche, e l’accesso ad esse potrebbe alimentare nuove tensioni internazionali. Come se in questo momento non ne avessimo già abbastanza.
Conseguenze sull’acquariologia e sulla salute dei mari
L’impatto del deep sea mining sull’acquariologia, seppur indiretto, potrebbe rivelarsi tutt’altro che trascurabile. Le alterazioni degli ecosistemi profondi rischiano infatti di compromettere le catene trofiche oceaniche e il ciclo dei nutrienti, pilastri fondamentali per la salute complessiva del mare. Questo potrebbe avere ripercussioni a cascata anche sugli equilibri più superficiali, con effetti non sempre prevedibili.
Inoltre, c’è il rischio concreto che alcuni organismi marini – magari ancora sconosciuti alla scienza ma di potenziale interesse anche per l’acquariofilia – vengano irrimediabilmente persi prima ancora di essere studiati. Ogni perdita di biodiversità rappresenta anche una perdita di opportunità: nuove molecole utili, ad esempio per la produzione di mangimi, probiotici o persino farmaci di origine marina, potrebbero andare perdute per sempre.
Infine, l’eventuale rilascio di metalli pesanti durante le attività estrattive potrebbe contaminare le acque marine. Sebbene l’impatto diretto sugli acquari sia remoto, non si può escludere che, nel lungo periodo, possano emergere conseguenze anche per gli allevamenti ittici e le raccolte di acqua naturale destinate all’uso acquariofilo.
Conclusioni
Il Deep Sea Mining è una nuova corsa all’oro che promette risorse strategiche, ma anche rischi irreversibili per il fragile equilibrio degli oceani. Il settore acquariofilo, che da sempre trae ispirazione dalla biodiversità marina, ha tutto l’interesse a seguire da vicino questa evoluzione e a sostenere pratiche sostenibili per la conservazione dei mari.
Per cui voi da che parte state? Siete favorevoli o contrari all’estrazione? Oppure preferireste una seria valutazione di impatto ambientale prima di poter dire la vostra? Ditecelo nei commenti sotto all’articolo o sui nostri canali social: Telegram, Instagram, Facebook, Twitter e YouTube. O ancora nel nostro forum dove siamo sempre presenti.
Riferimenti
- International Seabed Authority (ISA)
- United Nations Environment Programme: Publication about Deep Sea Mining
- Marine Conservation Institute – Deep Sea Mining
- Greenpeace Report: Fermiamo il Deep Sea Mining
- Deep Sea Conservation Coalition