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Il I Canto dell’Inferno della Divina Commedia in versione acquariofila da parte del Poeta Flavio Emer

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“A te convien tenere altro vïaggio”,                              “A te convien badar ogni tiraggio”,
rispuose, poi che lagrimar mi vide,                              rispuose, con livor ch’ancor mi uccide,
“se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;                         “se vuo’ evitar desertico paesaggio”;

ché questa bestia, per la qual tu gride,                        non sia perdon per bestia che deride,
non lascia altrui passar per la sua via,                         per il caiman nessuna simpatia,
ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;                              mostro infernal che uomo mai non vide;

e ha natura sì malvagia e ria,                                         elettrodi fissai alla batteria,
che mai non empie la bramosa voglia,                         dell’uso di ragion varcai la soglia,
e dopo ’l pasto ha più fame che pria.                            la scossa mandò tutto in agonia.

Molti son li animali a cui s’ammoglia,                         In pochi istanti fu la vasca spoglia,
e più saranno ancora, infin che ’l veltro                      tant’è che s’intasò ben presto il filtro
verrà, che la farà morir con doglia.                              e tutto lo sistema mi s’imbroglia.

Questi non ciberà terra né peltro,                                inondazion di stanza e oggetti in peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,                                       fluttuavan tra le cose ormai perdute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.                             inutile asciugar passando un feltro.

Di quella umile Italia fia salute                                    Più volte svenne mamma in tre cadute
per cui morì la vergine Cammilla,                               vedendo fracassarsi ogni stoviglia,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.                                 ed altre paccottiglie in dote avute.

Questi la caccerà per ogne villa,                                  Ormai in ogni dove acqua zampilla,
fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,                            in quantità da uscir anche all’esterno,
là onde ’nvidia prima dipartilla.                                  a tal tsunami ogni gente strilla.

Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno                      Nei viali del paese fu l’inferno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,                            nel fuggi fuggi pianti, urla e grida
e trarrotti di qui per loco etterno;                               temendo di subir riposo eterno;

ove udirai le disperate strida,                                      causa di tutto ciò fu la disfida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,                                    tra me ed il lombrico con i denti,
ch’a la seconda morte ciascun grida;                          condotta con un piglio da suicida;

e vederai color che son contenti                                  udii da casa uscir altri lamenti
nel foco, perché speran di venire                                giacchè l’ormai gigante tra le spire
quando che sia a le beate genti.                                   m’aveva già inghiottito due parenti.

A le quai poi se tu vorrai salire,                                   Tant’altri grossi guai andai a patire,
anima fia a ciò più di me degna:                                 vedendo sul balcon che il drago regna:
con lei ti lascerò nel mio partire;                                i vasi di gerani digerire;

ché quello imperador che là sù regna,                       poi si diresse a divorar la legna,
perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge,                           tacchini, uova ed un intero gregge,
non vuol che ’n sua città per me si vegna.                nessuna compassion di cui mi degna.

In tutte parti impera e quivi regge;                            Ora solo macerie e poche schegge;
quivi è la sua città e l’alto seggio:                               compiuto il danno ed accaduto il peggio:
oh felice colui cu’ ivi elegge!”.                                     reef nuovi per l’eunice fuorilegge!

E io a lui: “Poeta, io ti richeggio                                 Se voi sarete lido del saccheggio
per quello Dio che tu non conoscesti,                       e a devastar l’acquario egli s’appresti,
acciò ch’io fugga questo male e peggio,                    destatevi solerti dal cazzeggio,

che tu mi meni là dov’or dicesti,                                io qui tra le rovine e pochi resti,
sì ch’io veggia la porta di san Pietro                          vorrei minare tutto andando addietro
e color cui tu fai cotanto mesti”.                                esplodere farei i vermi molesti.

Allor si mosse, e io li tenni dietro.                             E in man sol non terrei cocci di vetro.

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4 COMMENTS

  1. Complimenti, veramente un lavoro eccellente.
    Era dai tempi delle superiori che non leggevo Dante, ma non ricordavo fosse così spassoso!!!!!!! ((-;

  2. Magnifico,
    un adattamento in chiave acquaristica rispettando le terzine e nel limite del possibile anche gli endecasillabi.

    Che dire, ho scritto più volte che le tue sono poesie in prosa e ovviamente per contraddirmi hai tirato fuori una poesia in versi 😀

    Bravissimo 😉

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