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Il I Canto dell’Inferno della Divina Commedia in versione acquariofila da parte del Poeta Flavio Emer

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Eunice aphroditois Nel Canto Primo dell'Inferno della Divina Commedia Acquariofila

Introduzione da parte di DaniReef: Abbiamo scovato fra le pagine del grandissimo poeta Flavio Emer un pezzo poetico senza pari.

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Sappiamo tutti dei problemi di Flavio Emer con l’Eunice, qui il primo racconto e qua il secondo racconto, ma non potevamo immaginare che l’Eunice portasse Flavio sulla soglia del non ritorno. E sicuramente la notte, alla luce di una candela, come un novello Dante Alighieri ha cominciato ha scrivere, o meglio a riscrivere la Divina Commedia in salsa Acquariofila.

Oggi così siamo orgogliosi di mostrare il suo nuovo capolavoro. Tutto il canto primo dell’Inferno della Commedia Divina di Dante Alighieri ha ripreso vita con la trasposizione dell’Eunice come unico e vero inferno.

Addirittura la metrica originale è stata rispettata.

Non vi resta che leggerlo e porgere i vostri com(pli)menti sotto l’articolo. Penso davvero che Flavio se li meriti tutti.

[per la tipologia di articolo, e per comprenderlo appieno, è richiesta la visualizzazione da computer o tablet che permetta la visualizzazione delle due colonne affiancate.]

Nel mezzo del cammin di nostra vita                              Nel mezzo d’una roccia ben fiorita
mi ritrovai per una selva oscura,                                     sembrò d’intraveder la traccia oscura,
ché la diritta via era smarrita.                                          d’un già ben tristo noto parassita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura                             Ahi solo a dir cos’era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte                                 esta bestia di assai forme contorte
che nel pensier rinova la paura!                                      pelosa tanto che mettea paura!

Tant’è amara che poco è più morte;                               spietatamente amara è la mia sorte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,                              ma resa al polychaeta non sia mai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte.                               uno tra me e l’eunice avrà la morte.

Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,                                  Se il verme s’ingrandisce sono guai,
tant’era pien di sonno a quel punto                               ed alla tua passion puoi metter punto
che la verace via abbandonai.                                          i metri che diventa non lo sai.

Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,                         Ma poi che decision ebbi raggiunto,
là dove terminava quella valle                                         al fin di sterminar quel rompi palle
che m’avea di paura il cor compunto,                            m’accinsi a tramutarlo in un defunto,

guardai in alto e vidi le sue spalle                                   provai con il retino da farfalle
vestite già de’ raggi del pianeta                                       con strategia ben poco consueta
che mena dritto altrui per ogne calle.                            ed al fallir mi caddero le spalle.

Allor fu la paura un poco queta,                                     Allor con uncinetto e mano inquieta,
che nel lago del cor m’era durata                                    trafissi acqua e pietra perforata
la notte ch’i’ passai con tanta pieta.                               di nuovo non raggiunsi la mia meta.

E come quei che con lena affannata,                             L’eunice con astuzia raffinata,
uscito fuor del pelago a la riva,                                       uscito fuor da casa sua abusiva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata,                              strisciava in posizion più riparata,

così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,                                con gran timor che dentro mi nutriva,
si volse a retro a rimirar lo passo                                   sapevo che spezzando in due il gradasso
che non lasciò già mai persona viva.                              in poco tempo avrei una comitiva.

Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,                         Poiché se si frammenta il satanasso,
ripresi via per la piaggia diserta,                                     ben poca cosa è la ferita inferta,
sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso.                   e cento ne vedrai da sotto un sasso.

Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,                             Lo verme spaventato e in grande allerta,
una lonza leggera e presta molto,                                  in fronte a me cattivo e scuro in volto,
che di pel macolato era coverta;                                    tentava di sottrarsi a morte certa;

e non mi si partia dinanzi al volto,                                io avevo in testa lui bello e sepolto,
anzi ’mpediva tanto il mio cammino,                           incenerito o arso nel camino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.                              ma gesto dell’ombrel facea lo stolto.

Temp’era dal principio del mattino,                             Trascorsero le ore del mattino,
e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle                          si spensero le luci intense e belle
ch’eran con lui quando l’amor divino                           restavo a caccia al chiaro d’un lumino

mosse di prima quelle cose belle;                                  serravo d’ira forte le mascelle;
sì ch’a bene sperar m’era cagione                                 desideravo usare un grosso arpione
di quella fiera a la gaetta pelle                                        invece di capelli due forcelle

l’ora del tempo e la dolce stagione;                               la guerra richiedeva un bel cannone;
ma non sì che paura non mi desse                                stuzzicadenti Marte sol concesse
la vista che m’apparve d’un leone.                                e il bruco mi schernì da gran coglione.

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4 COMMENTS

  1. Complimenti, veramente un lavoro eccellente.
    Era dai tempi delle superiori che non leggevo Dante, ma non ricordavo fosse così spassoso!!!!!!! ((-;

  2. Magnifico,
    un adattamento in chiave acquaristica rispettando le terzine e nel limite del possibile anche gli endecasillabi.

    Che dire, ho scritto più volte che le tue sono poesie in prosa e ovviamente per contraddirmi hai tirato fuori una poesia in versi 😀

    Bravissimo 😉

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